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Nov 16, 2016 Attualità, World Wide
Roma, dal corrispondente
“L’imbroglione Trump è un veleno spacciato per antidoto”, questa la dichiarazione del sociologo Bauman a commento del risultato delle elezioni USA.
Il suo pensiero poco aggraziato è solo uno dei tanti tra quelli che hanno salutato il nuovo inquilino della Casa Bianca. Tra gli altri si potrebbero citare Junker oppure Hollande, tralasciando la miriade di commentatori e giornalisti che pure non sono mancati.
Questo impone subito una riflessione: i democratici, a qualunque latitudine essi si trovino, sono tali fin quando le cose vanno bene.
Non siamo favorevoli al candidato repubblicano, sia chiaro. Non lo siamo principalmente perché non siamo in grado, come del resto quasi nessuno dei commentatori, di decifrare realmente la realtà americana.
Il fastidio che il mondo prova rispetto a questo tycoon spaccone e maleducato è il sintomo di quanto un certo tipo di giornalismo e di politica non sia più in grado di decifrare il mondo reale.
Sempre Bauman sostiene: “[Trump] riflette il divorzio ormai avvenuto tra potere e politica, da cui deriva un vuoto, un divario colmato da chi promette soluzioni facili e immediate a problemi complessi e sistemici, attingendo al ricco serbatoio della retorica populista”.
E la colpa sarebbe di chi? Del cittadino che crede al politico affabulatore e populista (sempre che qualcuno sia in grado di spiegare perché questo termine dovrebbe avere connotati negativi) o della politica che con il tempo non ha saputo cogliere i segnali derivante da determinate scelte?
Il sospetto è che come molti anche in Italia, i commenti sarcastici e superficiali di quanti parlano di elettorato di pancia nascondino l’incapacità della politica di fare quello che il suo ruolo impone: decifrare e declinare i bisogni della popolazione.
In Italia, questo atteggiamento ha portato non solo all’affermazione di un movimento come quello dei Grillini che ha di fatto scompaginato lo scacchiere politico in poco meno di 5 anni, ma ha rovesciato un partito strutturato e organizzato come il PD che si è trovato spaccato al suo interno da spinte innovatrici (si fa per dire).
Oggi chi critica Trump lo fa con la saccenza tipica di quella sinistra antipatica e da salotto, piena della sua ragione intellettuale da sbandierare contro i poveri volghi da istruire prima di avviare al voto come fedeli indottrinati dal predicatore di turno.
I discorsi della Clinton, evidentemente, devono essere stati percepiti dal pubblico come troppo distanti da quelli che sono i reali problemi che gli Americani sentono e questo, in politica, si chiama errore. Per quanto quella di The Donald possa essere stata una campagna troppo schiacciata su posizioni utili all’enfasi del momento e al sensazionalismo (il muro con il Messico o il chip per gli islamici), è indubbio che in quelle parole la maggioranza degli Americani abbia trovato qualcosa in cui credere. Trump non ha detto la verità, forse questo è vero, ma di certo ha parlato in maniera spontanea e meno artefatta. In comunicazione è un vantaggio enorme.
Parlando poi di comunicazione un’ultima considerazione è d’obbligo.
Negli ultimi giorni tanti tra attori e cantanti hanno preso parte alla disputa politica schierandosi quasi tutti a favore della Clinton, accusando Trump di omofobia e misoginismo.
Fermo restando che le esternazioni del milionario americano sono state spesso stupide e fuori luogo, rimane il fatto che una campagna appoggiata da Madonna che promette fellatio, in cambio del voto per Hillary, non rappresenta al meglio il ruolo della donna in una società emancipata.
Come dire: al peggio non c’è mai fine.
Luca Arleo
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