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Lug 31, 2018 Arte & Musica, Cultura
Beethoven raggiunse la capitale austriaca nel 1792 ed ebbe come insegnanti Haydn e Antonio Salieri.
Fu subito considerato il fondatore della «nuova musica»: invece di tante voci che cantavano indipendentemente l’una dall’altra, nella musica di Beethoven le voci procedevano in formazione corale. Già a cinque anni era testardo come un mulo e per tutta la vita conservò un’indipendenza di spirito che gli permise anche di non curarsi del suo alloggio, sempre in uno stato caotico. Sul pianoforte, tra i manoscritti, i piatti con gli avanzi del cibo, il letto sempre sfatto, gli abiti e la biancheria alla rinfusa sull’unico divano o sparpagliati sulle sedie, spartiti altrui, sottoposti alla sua approvazione, accatastati in cima all’armadio e sepolti sotto la polvere, mai una finestra aperta perché sosteneva che l’aria fresca fosse deleteria per i suoi bronchi. Quando arrivava una fantesca, che qualche parente chiamava per dare una ripulita, sorprendendola a casa, le inveiva contro e la poveretta fuggiva a gambe levate. Fu il prezzo del vivere in solitudine in una soffitta al servizio dell’Arte, così diverso dal resto dell’umanità.
Ma a pochi artisti il destino ha riservato vicissitudini così amare come quelle che esacerbarono questo «barbaro del settentrione», dalla fronte sempre aggrottata, la zazzera scarmigliata, dai modi da contadino e dall’anima sensibile come quella dei bambini. Al cui genio dobbiamo una musica di così ampio afflato che il nostro mondo piccino sembra perdervisi dentro, riuscendone rigenerato e rinvigorito. I suoi numerosi fratelli e sorelle gli causarono solo grane e fastidi. Anche sentimentalmente. Non perché venne respinto come ipotetico marito, ma gli eventuali suoceri si rifiutarono sempre di dare la loro figlia in moglie ad un uomo con una parentela così terribile: incessanti litigi giudiziari con le cognate e continue querelle con le sorelle.
È poi superfluo ricordare che negli ultimi dodici anni della sua vita Beethoven fu sordo come un muro. Fin dal 1800 si era accorto di perdere l’udito; dai trent’anni in poi, fu molestato dai vari piccoli malanni sulla cui diagnosi i medici non concordarono mai. Si ribellò a quell’invalidità che per un musicista è la più disastrosa di tutte, e solo nel 1822 – dopo l’incidente che si verificò quando dirigeva l’ultima rappresentazione di prova del Fidelio, e l’orchestra ed il pubblico si accorsero che non si rendeva conto di come procedeva il canto – si astenne dal presenziare alle rappresentazioni dei suoi lavori. Data l’ombrosità del suo carattere, fu naturale che la sordità lo spinse ad evitare la compagnia del prossimo, sebbene fosse, di istinto, socievolissimo. L’unico mezzo di comunicazione con l’esterno, furono le migliaia di foglietti – il primo è datato 1816 – che contengono le conversazioni di Beethoven: domande e risposte scarabocchiate su un taccuino con la mano nervosa dell’uomo che è costantemente irritato per essere escluso dalla società. Morì nel 1827 e per undici anni visse in un perpetuo silenzio. Ma da quel silenzio scaturirono melodie che il mondo non aveva mai udito. Come tutti i contemporanei, si interessò vivamente all’evoluzione della politica, ma il naufragio degli ideali della Rivoluzione Francese lo delusero. Fosse stato un essere volgare, Beethoven sarebbe diventato un cinico, invece lottò, sempre. Si rifiutò di arrendersi, in tutti i campi. Forte di un impavido coraggio, diede all’Europa tutta il segnale della riscossa, ed in termini inequivocabili riaffermò la sua fede nella vittoria definitiva dell’umanità. Fu così che ci regalò la Nona Sinfonia.
Il destino non bussa più alla porta, come nella Quinta. Il maestro non si interessa più al fato del suo eroe, come nell’Eroica. La sua mente non percepisce più le bellezze della natura, come nella Pastorale. Non c’è più l’apoteosi della danza, come nella Settima. Tutti temi che si lascia alle spalle. Da quel versatilissimo manipolatore di effetti orchestrali che è, nella Nona Sinfonia, Beethoven fa ritorno al più antico di tutti gli strumenti, la voce umana, per dare espressione alla sua incrollabile fede in quella libertà dello spirito che fu per tutta la vita il suo più ambito possesso.
Giovanna Scatena
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