Ultimo Aggiornamento domenica 26 Marzo 2023, 5:03
Feb 06, 2019 Cultura, Teatro & Cinema
L’8 febbraio debutta in prima nazionale al Teatro i di Milano, Penthy sur la bande (Pentesilea, l’anima di una marionetta), opera drammatica di Magali Mougel, protagonista Viola Graziosi, con la regia di Renzo Martinelli. Lo spettacolo, che rientra nell’ambito del progetto Fabulamundi, sarà replicato fino al 18 febbraio.
L’interprete del monologo, Viola Graziosi, figlia d’arte e notevole talento, collaudato da una lunga esperienza francese e da molti lavori con Carlo Cecchi, Pupi Avati e le sorelle Comencini, solo per citare fior da fiore, ci introduce alla conoscenza di Penthy, la protagonista dell’opera:
“Il nome del personaggio che interpreto, Pentesilea, evoca la celebre regina delle amazzoni della mitologia greca, morta per mano di Achille. In quest’opera, però, il personaggio richiama piuttosto il racconto di Kleist, in cui è invece Pentesilea che uccide Achille. Magali Mougel, brillante drammaturga francese, ha riscritto il testo di Kleist in una forma sintetica e molto efficace. Abbiamo scelto di lasciare il titolo nella lingua originale perché il termine francese “bande” può assumere molti significati in italiano: filo, striscia, soglia; può essere un luogo fisico, ma anche metafisico, inteso come confine tra il sé e il fuori da sé”
La Pentesilea che porterà in scena è una marionetta ossessionata dal tradimento di Achille; ma chi è il burattinaio?
Penthy non ha una psicologia propria; è diventata una marionetta che ripete sempre lo stesso monito, senza provare sensi di colpa. Ma non parlerei di ossessione; Penthy è figura di una metafora provocatoria dell’amore come pulsione passionale che induce al superamento del limite di fronte al tradimento. Il nostro testo finisce con la marionetta che dice “Io sono il vostro nuovo terrore, io sono il nero delle vostre vite”. Il nero, in questo caso, è da intendere come ciò che non si vuole vedere. Lo stesso Kleist voleva rappresentare la differenza tra natura e cultura, tra cuore e ragione. E se la ragione può apprendere nozioni etiche, morali e culturali, il cuore – o se si preferisce la pancia – è più istintivo. Perciò credo che il burattinaio sia la natura; Penthy ha reagito al tradimento guidata dall’istinto e non avrebbe potuto fare altrimenti.
Che ruolo ha in questo spettacolo la tecnica dell’olofonia?
Direi che è fondamentale. In realtà io non interpreto soltanto Pentesilea, ma le voci di tutti i personaggi, perché questa storia si gioca più sul filo della parola che dell’azione. Grazie all’olofonia, che prevede l’uso di particolari cuffie, i suoni possono essere ripetuti e spazializzati in 3D. La tecnologia, quindi, è funzionale allo spettacolo, la possiamo intendere come una maschera con una precisa funzione drammaturgica. Io posso essere anche voce di Achille o addirittura un intero coro di voci che accusa Pentesilea di aver tradito la missione di pace per la quale era stata mandata sulla “striscia”. Questo sistema mi consente di sussurrare nell’orecchio di chi sta in sala, superando così la distanza tra platea e palcoscenico. Lo spettatore si sente letteralmente immerso nella storia e la rappresentazione acquista valore di esperienza.
Di fronte all’amore tradito, Pentesilea compie un atto violento e per giunta senza provare sensi di colpa. Non c’è il rischio che la rappresentazione venga fraintesa e che si presti a un giudizio morale negativo?
Il rischio c’è sempre. In realtà non portiamo in scena un fatto reale e nemmeno realistico. La violenza non è mai moralmente accettabile e nemmeno possibile nelle modalità rappresentate in scena, credo. La chiave di lettura è la metafora quale occasione di riflessione sul tema dell’amore come visione della vita in comune e del tradimento inteso non tanto come banalizzazione del valore della fedeltà nelle relazioni, ma soprattutto come intima sconfessione di se stessi. Io credo che la funzione del teatro sia quella di far riflettere e far discutere. In questo senso, Penthy sur la bande è una provocazione, un’occasione di confronto in cui ciascuno possa chiedersi dove sia annidato “il nero” nella propria vita. Infrangendo questo tabù, vogliamo creare valori da una parte e responsabilità dall’altra.
Angelina Marcelli
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