Ultimo Aggiornamento lunedì 22 Febbraio 2021, 3:38
Set 12, 2017 Attualità, Italia
Dell’ Università italiana, In questi ultimi anni ne ha hanno discusso molti media, per focalizzare la crisi degli atenei, in particolare La Repubblica e La Stampa, ma anche spazi specializzati come Sapienza Futura, mettendo in evidenza il calo notevole delle iscrizioni.
Il CUN (Consiglio Universitario Nazionale) ha registrato che dal 2003 al 2011 c’è stato un calo delle iscrizioni di circa 60.000 unità.
E’ chiaro che i motivi sono più di uno, dal calo della popolazione giovane, al proliferare delle università on line, fino allo sviluppo dell’elearning.
Si dimentica però quasi sempre di ricordare quanto l’università tradizionale made in Italy sia anacronistica e farraginosa, soprattutto dopo la scellerata riforma del 3+2, che parcheggia per anni allievi smarriti da programmi che si ripetono e docenti fotocopia messi lì a scaldare un posto, visto che si è creata l’opportunità.
L’università italiana continua imperterrita a barcamenarsi tra programmi senza guizzi, teoria vecchia, docenti che spesso vengono riciclati su discipline che non conoscono, concorsi all’insegna del parentage e non solo.
In questi anni, sono nate discipline e settori di studio nuovi, dove l’apporto dei professionisti esterni che conoscono la realtà, al di fuori degli ufficietti delle università, è fondamentale. Però queste risorse, i cosiddetti professori a contratto (contratti ridicoli), sono bloccati dai passacarte interni (i cosiddetti strutturati) e sono remunerati con cifre che neppure un garzone di bottega (con tutto il rispetto per il garzone) riterrebbe equo.
In altre parole, a parte eccellenze che tengono botta, anche perché sanno comunicare nella giusta maniera, come Bocconi, PoliTorino e poche altre, le università italiane sono in crisi, perché sono dei corsifici senz’anima, gestiti da gente vecchia, burocrati che non conoscono cosa succede al là della polvere delle loro scrivanie.
Una realtà triste che rispecchia l’immobilismo italiano, politico, amministrativo, gestionale e culturale.
Arriva in questi giorni la notizia che quest’anno accademico inizierà con una variazione di tendenza: le iscrizioni, soprattutto per i settori scientifici sono aumentati di circa il 3%.
Ma tutto questo non posta il problema. L’università italiana rimane un fossile che non evolve.
Luca Filanti
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