Ultimo Aggiornamento domenica 13 Luglio 2025, 3:39
Giu 10, 2019 Cultura, Teatro & Cinema
Per anni non ho capito cosa diceva Massimo Troisi. Capivo un po’ il Napoletano, ma quando parlava lui per me, poliglotta, era una lingua sconosciuta.
Così dopo aver visto una manciata di brani della Smorfia e un paio di film, ho lasciato perdere. Non capendo, trovavo tutto molto parlato, prolisso, alla fine noioso.
Poi Troisi ci ha lasciato a quarant’anni e, come sempre accade in Italia, sono partiti i peana. Il migliore, il più grande, ecc.
Tutto questo avveniva sui media, mentre io ricordo molto bene che i miei colleghi giornalisti, alle proiezioni pubbliche, non capivano cosa diceva Troisi (ed erano la maggioranza) e ridevano per solidarietà, ma senza rendersi conto del perché.
Devo aggiungere che seguo il teatro made in Napoli da decenni, da De Fiippo a De Simone e mi piace quasi tutto e capisco quasi tutto. Mi piace la musica napoletana, la trovo avvolgente e nutriente, Enzo Avitabile è, a mio parere, insuperabile.
Però Troisi rimaneva ostico.
Da pochi anni mi sono messo a studiare Troisi. Mi sono applicato, come faccio sempre quando un ostacolo mi crea difficoltà.
Ho scoperto un attore, regista e autore che smescola soavità, spontaneità, dolcezza e una visione personale ed allargata dei fatti della vita, con in più una dose di sofferenza schiettamente umana e un talento naturale, raffinato negli anni.
Ho scoperto un artista per me sconosciuto e così ho rivisto su YouTube l suoi interventi con La Smorfia e tutti i suoi film-
Non tutto è allo stesso livello, come accade sempre nella vita di un Autore.
Non ci resta che piangere resta il suo film migliore, come creatore di storie e racconto.
Come sceneggiatore e presenza scenica, No grazie, il caffè mi rende nervoso è un‘opera che merita grande attenzione.
Come attore spicca in Splendor e Che ora è di Ettore Scola e ne il Postino. Con La Smorfia è innovatore divertente.
Massimo Troisi è un Pulcinella dolente, una maschera bella e poetica, con una napoletanità nuova che non dimentica mai il passato.
Mauro Pecchenino
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