Ultimo Aggiornamento mercoledì 22 Marzo 2023, 4:35
Nov 21, 2022 Lifestyle, Società
Il Comandante Tundra (a sinistra), con l’autore dell’articolo, alcuni anni fa
Il comandante Tiziano Marchesi, nome di battaglia partigiano “Tundra”, è stato uno dei primi ribelli, forse il primo comandante nella storia italiana, tra i combattenti per la libertà, entrato in azione subito dopo i primi giorni successivi alla caduta di Mussolini e all’armistizio proclamato da Badoglio. La sua è stata davvero una vita avventurosa. Per questo, lo scrittore, Mino Milani, ha voluto dedicargli un libro: dal titolo “Storia di Tundra, vita avventurosa di Tiziano Marchesi” (Effigie, 2012).
Nato a Lungavilla, nell’Oltrepò Pavese, quand’è ancora ragazzo, la sua famiglia intende mandarlo a farsi prete. Lui scappa e si arruola in Marina. E’ il 1 dicembre 1929. Diventa esperto di armi pesanti. Mandato dalla “Breda”a vendere armi alla Cina, di Chiang Kai Shek, conosce Galeazzo Ciano (allora ambasciatore in quel paese) e la moglie Edda, figlia di Mussolini. Quando arriva la guerra combatte su una nave, la “Ramb 3”, che, curiosamente, non è un nome legato al noto personaggio cinematografico, ma significa “Regia azienda monopolio banane”. Quella nave c’è ancora e, nel dopoguerra, viene ceduta al maresciallo iugoslavo Tito, che la restaura per usarla come yacht personale. A 23 anni, nel 1943, diventa capo partigiano, crea un gruppo spontaneo di combattenti coraggiosi che non hanno nessuna appartenenza politica. Questo primo nucleo diventerà successivamente la “Brigata Tundra”. Il piccolo, aggressivo corpo d’assalto, compie imprese ardue e inverosimili.
Nel novembre del 1944 viene ferito gravemente dallo scoppio di una bomba e questo avvenimento fornisce il pretesto ai partiti per impadronirsi della Brigata ed inquadrarla nei reparti ufficiali della Resistenza. Tornato a Lungavilla, diventa Sindaco, carica che terrà per due anni. Gli propongono la carriera parlamentare, ma lui rifiuta non ritenendosi adatto alla vita politica. Vuole restare ancora indipendente dai partiti e, pertanto, si ritira a vita privata.
Mino Milani, nel libro a lui dedicato, così lo definisce: “Forte, resistente e cioè capace di sopportare senza lagna freddo, caldo, azione o ozio, magari anche fame e sete; capace di prenderle e di darle. E’ anche bello”.
Ho conosciuto Tundra quand’ero Sindaco di Santa Giuletta. Ogni 25 Aprile partecipava sempre alla manifestazione organizzata per celebrare l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo, rifiutando altri inviti verso manifestazioni più grandi. Arrivava presto, di buon mattino. Incontrava subito i suoi amici e compagni di battaglia partigiana, ancora numerosi negli anni Settanta e Ottanta del Novecento nel mio paese. Poi seguiva il corteo che si snodava sulle colline, dove ponevamo insieme corone di fiori ai vari caduti, tra i quali vi era un cippo dedicato ad un partigiano bulgaro, Boris. Per questo, ogni anno, eravamo accompagnati da esponenti del Consolato milanese e dell’ambasciata romana della Bulgaria. La cerimonia si concludeva con il mio discorso e quello di Tundra, davanti al Municipio del paese, cui seguiva il conviviale. Nel corso della mattinata e durante il conviviale ho raccolto le confidenze di Tundra sulla guerra partigiana, anche quelle più scottanti, quale, ad esempio, quella riferita allo scoppio della bomba che lo ferisce ad un piede e ad una parte dell’occhio. Mi ha sempre confermato di aver sospettato che l’incidente fosse stato architettato, secondo lui, da alcuni esponenti partigiani per eliminarlo. Mi aveva raccontato il carattere dei vari partigiani, i dissidi sorti al loro interno, accanto a tanti episodi di solidarietà e agli aiuti ricevuti dalle popolazioni dei paesi collinari e montani.
Nel corso di una trasmissione a “Radioltrepò”, emittente allora da me diretta, faccio raccontare a Tundra le sue vicende nella guerriglia partigiana: un racconto senza retorica, dove a parlare sono i fatti. Ricorda il periodo in cui era maresciallo della Marina e, in tale posizione, opera in Cina, in India, in Africa, nel Nord Europa, nell’America del Nord e del Sud. Dopo l’armistizio, costituita la Brigata che da lui prende il nome, il comandante si dirige verso le prime colline oltrepadane, all’inizio seguito da poche unità, poi da una quarantina di combattenti. L’obiettivo è di sfuggire alle truppe tedesche e fasciste che infestano la pianura e che li cercano per fucilarli. Alla domanda di illustrarmi chi sono i primi partigiani, Tundra racconta che i suoi seguaci sono militari meridionali che, invece di tornare a casa, si fermano in Oltrepò per combattere contro i nazifascisti. Vi sono anche intellettuali, insegnanti, contadini e operai. Al gruppo si uniscono diversi combattenti stranieri: russi, americani, tedeschi sbandati, bulgari, jugoslavi. Tra di loro primeggia sempre uno spirito di fraternità e di solidarietà. Aumentando il numero dei partigiani a qualche centinaio, il gruppo si posiziona sull’area di montagna. Il comandante ricorda poi, elencandoli minutamente, diversi episodi coraggiosi della Brigata e luoghi di queste azioni. Dalle montagne e dalle colline, i partigiani arrivano in pianura per compiere sequestri di armi e sabotaggi. In settembre, a Lungavilla, di notte, riescono a disarmare e recuperare le armi a due militi. Il 25 ottobre 1943 immobilizzano e recuperano le armi a due carabinieri in servizio presso la stazione ferroviaria di Bressana Bottarone. Il 10 novembre disarmano due guardie a Bressana Argine, togliendo loro le armi, Negli stessi giorni viene costituita, all’interno della Brigata una “squadra volante”. Il 25 novembre questa squadra sabota un lungo cavo telegrafico presso una stazione tedesca e riesce a disarmare i carabinieri di Pinarolo Po. Il 12 dicembre vengono disarmati altri militi fascisti, recuperando i relativi armamenti. (Continua…)
Carlo Bolognesi
Sociologo
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