Ultimo Aggiornamento lunedì 30 Gennaio 2023, 7:22
Gen 17, 2021 Attualità, World Wide
“Quando la velocità degli avvenimenti si avvicina alla velocità del flusso comunicativo la forma della politica assume quella della struttura della comunicazione”, scrivevo a commento delle primavere arabe e la vicenda Trump certifica tale asserzione. Infatti, non si può dire che il Presidente USA sia stato censurato. Volendo (ma non ha voluto…) avrebbe potuto usare decine, centinaia di canali comunicativi per dire la sua in quelle ore drammatiche. Ma ha rinunciato ad usare i media tradizionali perché le sue parole avrebbero assunto il tono dell’ufficialità e sarebbero state mediate dal giudizio, esplicito e pubblico, di commentatori e altri politici. La forma della politica social, invece, taglia le mediazioni, “disintermedia” come si dice oggi, ma le consegna ad ingranaggi, “oscuri agli stessi utilizzatori/fruitori”, che si illudono di avere un rapporto diretto con il personaggio o il leader e di ricevere da lui il privilegio relazionale di un potenziale scambio comunicativo che quasi nella totalità dei casi si risolve nel rilancio della affermazione del capo.
La struttura democratica delle società poggiava sulla consapevole percezione/coscienza dell’appartenenza sociale che convogliava interessi collettivi e li faceva esprimere attraverso l’atto del voto. L’iniezione del fluidificante relazionale del mondo social strutturato per il marketing (l’estrazione dei dati, la profilazione sempre più estrema a fini commerciali) ha prodotto un effetto collaterale devastante: da un lato ha consegnato a strutture potentissime economicamente di mascherarsi da semplici cittadini e di inoculare messaggi che servono ai loro scopi politici immediati e di lungo periodo, dall’altro ha smontato la percezione/coscienza della propria reale condizione di vita e trasformato l’idea di società in una semplice sommatoria di individui rappresentati tutti con le stesse potenzialità relazionali sociali e condizioni di partecipazione alle dinamiche economiche. La democrazia non poggia più sulle fondamenta che l’aveva creata e agli scricchiolii, che si avvertono sempre più evidenti e preoccupanti, non si può rispondere con qualche pezza a colori.
Si discute molto di come intervenire sui social. Molti parlano di interventi antitrust sulle società proprietarie. Personalmente credo che quelle forme di riduzione del potere economico a livelli di compatibilità politica siano da perseguire sempre, anche in questo caso, ma che non risolvano la qualità del problema. Penso, invece, che sia giunto il momento di una riforma più drastica: occorre riportare la forma dei social alla loro ispirazione originaria (quella di connettere gli amici) e rafforzare le forme e le possibilità della trasmissione di contenuti di massa, con nuove forme di agevolazioni tecnologiche.
In altre parole, i social devono tornare a connettere persone che si conoscono realmente e in un numero congruo, alla reale struttura relazionale dell’individuo, mentre occorre incentivare lo sviluppo di piattaforme di comunicazione “da uno a molti” più semplici da gestire degli attuali siti e sostanzialmente unidirezionali. Un intervento utile a ridurre la pervasività dell’estrazione dei dati e del controllo delle piattaforme social sui partecipanti al gioco e ampliare il pluralismo informativo e comunicativo. Nessuna voce deve essere oscurata ma la democrazia va tutelata e rafforzata, superando l’attuale deriva che ne sta minando le forme di partecipazione.
È la forma della struttura comunicativa che deve cambiare se vogliamo salvare la democrazia e dobbiamo avere il coraggio di dire (garantendo la massima possibilità di parola e di espressione) che è la democrazia, che è la “sfera del politico”, a dover normare le forme dello scambio comunicativo necessario alla democrazia stessa (mai i contenuti, ovviamente) e non la struttura della tecnologia e del controllo sociale a decidere le forme della politica, delle istituzioni decisionali collettive.
Sergio Bellucci
Scrittore – Giornalista
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