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Ott 31, 2016 Attualità
Roma, dal corrispondente
Qualche tempo fa c’è stata quasi una sommossa popolare contro la campagna pubblicitaria sul Fertility Day, giorno che nelle intenzioni del Ministero della Salute avrebbe dovuto sensibilizzare tutti sul problema del basso indice di natalità nel nostro Paese e che invece ha sortito l’effetto devastante di spostare l’attenzione sulle capacità comunicative del Ministro e del suo entourage.
Risulta lampante come oggi più che mai la Comunicazione diventi un’arma a doppio taglio per chiunque decida di usarla. Obbliga innanzitutto coloro che parlano o scrivono a prestare un’attenzione maniacale ai contenuti e, non meno importante, impone delle conoscenze di base sui metodi di diffusione degli stessi. I primi resteranno per sempre scolpiti nell’etere, i secondi – se sbagliati – potrebbero oscurare anche i migliori concetti.
In un certo senso la democratizzazione delle notizie ha prodotto allo stesso tempo una platea pressoché infinita di critici e censori.
Per tornare al nostro Fertility Day, preso a campione di una lunga lista di casi analoghi, un argomento assolutamente importante e delicato come quello in campo, è stato del tutto ignorato dal pubblico che pure ne ha in qualche modo parlato, attaccando la campagna che lo presentava.
Se al posto di un argomento tanto importante ci fosse stato un prodotto da sponsorizzare, gli ideatori della campagna oggi vedrebbero le loro quotazioni migliorate sensibilmente, rispetto ad un anno fa.
Ma proviamo a capire quali dati interessanti sarebbe stato utile conoscere a proposito dell’argomento.
Prima di cominciare mettiamo a verbale che non è nostra intenzione avallare una politica governativa né difendere la bontà del Fertility Day. Non ce ne frega nulla. Il nostro intento è quello di capire quali siano i motivi che hanno portato l’Italia, questo sì, ad essere tra i Paesi a più basso tasso di natalità in Europa.
Per cominciare le donne, a causa di motivazioni contingenti (lavoro, welfare, potere di acquisto degli stipendi medi), decidono sempre più spesso di non accavallare carriera e maternità in una fascia di età – tra i 20 e i 35 anni – decisiva per entrambe le questioni. La mancanza di politiche dedicate ai bambini e la difficoltà che lo Stato trova nell’agevolare le famiglie in termini pratici e fiscali, ha ripercussioni drammatiche sulla percezione generale della genitorialità nelle coppie italiane. In altre parole: i figli costano.
Questa affermazione, comune nel 90% dei casi interpellati, è da un punto di vista sociale una piaga al pari di quelle descritte nella Bibbia. Un dato: in Europa siamo il Paese con il più alto tasso di donne senza figli: 20%. Davanti solo la Svizzera. Questo si lega a doppia mandata alle difficoltà economiche di cui sopra e al fatto che una volta assodata la propria posizione lavorativa, manca un requisito essenziale: l’età. Tra i 20 e i 35 anni è il momento favorevole per avere figli; dopodiché le possibilità un po’ diminuiscono, in relazione ad età e genetica.
Lasciandoci alle spalle le politiche sociali inesistenti ed il ticchettio dell’orologio biologico (temine che usiamo solo per dire quanto sia sgradevole usarlo e poco educato nei confronti delle donne), rimangono le cause esterne che fanno salire esponenzialmente i casi di infertilità o sterilità.
Esistono studi di numerose università (nella pratica non sono poi così utili) che certificano come un corretto stile di vita impatti significativamente sulle possibilità per una donna di rimanere incinta e per un uomo di produrre spermatozoi utili all’inseminazione. Il fumo, così come l’alcol, sono tra i fattori principali sul banco degli imputati, ma anche una dieta inappropriata potrebbe avere ripercussioni sul dato.
Infine c’è l’aspetto ambientale. Anche in questo caso alcuni atenei vengono in nostro soccorso attestando come un ambiente inquinato di gas e polveri, abbia delle dirette conseguenze negative in termini di procreazione.
Insomma, per concludere, l’argomento è ampio e affascinante. Meriterebbe sicuramente una discussione approfondita e una divulgazione a favore della popolazione.
Invitiamo pertanto il Ministro di riferimento a provare nuovamente a ragionare su questo tema, magari cercando meno pubblicitari e più divulgatori in grado di comprendere i problemi e rispondere alle esigenze, delicate, delle parti in causa.
Luca Arleo
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