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Mar 02, 2012 Attualità, Italia
Alessio.sartore’s Picture from Flickr.com
Ci sembra di vederlo Pupi Avati negli anni 60, quando la leggenda narra che sconsolato, decise di lasciare il gruppo jazz bolognese di cui faceva parte, perché si sentiva un po’ messo in ombra da un certo Lucio Dalla.
Poi, a onor del vero, che grande regista è diventato il bolognese Pupi Avati.
E, cari lettori, vogliamo ricordare che straordinario artista ha dimostrato di essere Lucio Dalla durante la sua carriera lunga mezzo secolo?
Ci ha lasciato all’improvviso, dopo un’apparizione in punta di piedi al Festival di Sanremo dove ha diretto l’orchestra e ha fatto da “chioccia” al giovane Carone, suo ultimo pupillo.
Ora mettere insieme nell’ordine: album, partecipazioni a Sanremo e gli innumerevoli premi e riconoscimenti ottenuti dal cantautore bolognese, proprio non vogliamo farlo, ci piace di più ricordarlo da un’altra prospettiva, la più straordinaria, quella rappresentata dalle sue canzoni, ne abbiamo scelte solo alcune, dato che il repertorio di Dalla è immenso, come la sua grandezza d’artista che non ci abbandonerà mai.
Partiamo, senza alcun ordine di data, dalla canzone Futura.
Tutti se potessero, chiamerebbero la loro figlia femmina, Futura.
E’ un nome troppo impegnativo per molti e anche se qualcuno si è già avventurato con nomi bizzarri quali, che dire: Chanel o Vita, sorellina di Leone ed Oceano, perché qualcuno dovrebbe imbarazzarsi a chiamare la propria figlia Futura?
“Chissà domani su che cosa metteremo le mani, se si potrà contare le onde del mare e alzare la testa, non essere così seria, rimani… e se è una femmina si chiamerà Futura. Il suo nome dentro questa notte mette già paura, sarà diversa bella come una stella, sarai tu in miniatura”.
Poesia pura, di chi desidera un figlio dalla donna che ama, sognando che sia una femmina e che si chiamerà Futura, come l’avvenire incerto ma, allo stesso tempo meraviglioso, che li aspetta. Ad una coppia innamorata in attesa della loro creatura.
E chi non ricorda le facce buffe e gli incredibili gargarismi che Lucio Dalla faceva spesso, magari prima di iniziare ad esibirsi davanti al proprio pubblico?
L’impressione è quella di chi volesse in un certo senso sdrammatizzare, attraverso un comportamento volutamente scanzonato, la profondità dei testi che scriveva, come per esempio in: “Cosa sarà”, canzone che pone questioni ed interrogativi a cui sembra non esserci risposta.
Domande profonde, laiche, che cercano risposte che nessuno ( forse ) riuscirà mai a dare, su cosa muova l’animo umano e sulle domande irrisolte di molti davanti a certe tragedie, a determinati avvenimenti, con il meraviglioso assolo di sax finale, ricordo dell’anima jazz che ha sempre contraddistinto Dalla.
“Cosa sarà che fa morire a vent’anni anche se vivi fino a cento, cosa sarà a far muovere il vento a fermare un poeta ubriaco a dare la morte per un pezzo di pane o un bacio non dato…”.
Poteva forse un bolognese come Dalla, non dedicare una canzone alla sua Città, con: “Piazza Grande”, un testo bellissimo che vogliamo dedicare a tutti coloro che hanno il coraggio di fare scelte difficili e dolorose, accettando le conseguenze delle proprie decisioni, ma non rimpiangendo nulla e non volendo tornare indietro sui propri passi, fieri delle proprie scelte difficili e controcorrente.
“Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è…
A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io, avrei bisogno di pregare Dio, ma la mia vita non la cambierò mai, a modo mio quel che sono l’ho voluto io.
Lenzuola bianche per coprirci non ne ho sotto le stelle in Piazza Grande e se la vita non ha sogni io li ho e te li do.
E se non ci sarà più gente come me, voglio morire in Piazza Grande, tra i gatti che non han padrone come me, attorno a me”.
E che dire della canzone che risponde nel titolo alla data di nascita del cantautore bolognese, quel 4 marzo 1943, che si sarebbe dovuta chiamare “Gesù Bambino” ma che non piacque alla censura, facendole cambiare così il titolo?
Il tema per i tempi era scottante, una ragazza madre, rimasta incinta a 16 anni di un militare americano e che: “mi volle chiamare come nostro Signore”.
Molti definiscono: “Caruso” un capolavoro, un testo che sembra lontano dalle corde e, allo stesso tempo, dalle origini bolognesi del grande cantautore.
In realtà, Lucio Dalla ha amato molto Napoli e i suoi abitanti se si pensa che per il brano “Canzone” il video è stato girato per le strade del capoluogo campano, con i protagonisti scelti dal cantautore bolognese, tra la gente comune e gli abitanti di un quartiere popolare.
Tornando a “Caruso”, molti sospettavano che fosse stata scritta da un cantautore napoletano, invece la grandezza di Lucio Dalla era proprio qui, riuscire a dare voce ad una terra così lontana dalle sue origini, ma così vicina alla sua anima.
“Qui dove il mare luccica e tira forte il vento
su una vecchia terrazza davanti al golfo di Surriento
un uomo abbraccia una ragazza dopo che aveva pianto
poi si schiarisce la voce e ricomincia il canto.
Te voglio bene assaje
ma tanto, tanto bene sai
è una catena ormai
che scioglie il sangue dint’e vene sai…
Vide le luci in mezzo al mare
pensò alle notti là in America
ma erano solo le lampare e la bianca scia di un’elica
sentì il dolore nella musica, si alzò dal pianoforte
ma quando vide la luna uscire da una nuvola
gli sembrò più dolce anche la morte
guardò negli occhi la ragazza, quegli occhi verdi come il mare
poi all’improvviso uscì una lacrima e lui credette di affogare”
Questo era Lucio Dalla, questa era la sua poesia, i suoi versi inimitabili, credo che ognuno di noi, di Lucio abbia una canzone preferita, come Anna e Marco e tante altre.
La canzone che si ama di più di Lucio Dalla è da custodire gelosamente, da custodire come una cosa a te molto cara.
Norman di Lieto
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