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Ott 21, 2014 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
La politica italiana, o almeno una parte di essa, si sta battendo strenuamente contro una minaccia che rischia di minare seriamente la società così come la conosciamo. L’ISIS è alle porte? No, i gay.
La discussione attorno ai diritti omosessuali ha una lunga storia nel nostro Paese e oggi riesplode in tutta la sua complessità all’indomani della decisione di alcuni sindaci di trascrivere sui registri cittadini le unioni gay di alcune coppie di Italiani già sposati all’estero. La cosa, come era ovvio che fosse, ha causato la reazione di quanti, contrari ideologicamente alle unioni omosessuali o comunque non interessati che la cosa abbia una rapida risoluzione, hanno bollato la dimostrazione dei sindaci come propaganda inutile, pretestuosa e priva di qualsiasi valore legale. Il Premier, intervistato (forse abbiamo esagerato) da Barbara D’Urso, ha confermato, tra le altre cose, che a gennaio dovrebbe nascere il codice che legalizzerà il tutto; non sarà il matrimonio ma qualcosa di molto simile alla legge “alla tedesca”, che regola, tra l’altro, unioni e adozioni. I dubbi restano. Non sulla legge in sé (di quella si parlerà quando uscirà il testo) ma sul fatto che con gennaio si faccia riferimento a quello 2015. Conoscendo Renzi, il sospetto è lecito. La questione è delicata per il fatto che interessa non un aspetto “tecnico” della vita dei cittadini come potrebbe essere l’art 18 o il TFR in busta paga, dove dati oggettivi possono suffragare o demolire una tesi, bensì ambiti strettamente personali e intimi, di quanti si trovano a vivere da cittadini disagiati una situazione oggettivamente scomoda. Gli aspetti interessanti del dibattito, difatti, sono quelli non relativi alle unioni in sé, sulle quali sembra ci sia una larga maggioranza, bensì su tutta una serie di “diritti” che questa legge dovrebbe garantire anche alle unioni omosessuali quali adozioni, pensioni, eredità, e così via. A livello ideologico il passaggio è molto delicato. Soprattutto per quanti continuano a vivere la questione come fosse un attacco diretto a quella che definiscono famiglia “tradizionale”. In un Paese che voglia definirsi effettivamente democratico, devono essere garantiti a tutti i cittadini uguali diritti, così come sancito da diverse risoluzioni della UE che, sinteticamente, raccomanda agli Stati membri di non agire in maniera tale da potersi configurare la discriminazione per motivi di orientamento sessuale. In questo senso, non garantire il matrimonio vero e proprio (e non un surrogato alla tedesca che, ogni tanto anche loro, possono non avere la migliore delle soluzioni possibili), potrebbe tradursi comunque come una discriminazione di fatto. L’impressione, tornando all’attualità, è che di un tema tanto delicato, stiano approfittando in molti, per avere una visibilità altrimenti immotivata piuttosto che cercare la migliore delle soluzioni possibile.
Contemporaneamente a quanto accade nel mondo politico, poi, si è tenuto sulla sponda opposta del Tevere un altro dibattito, se non proprio sugli stessi temi, comunque in parte correlato all’argomento: il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. In un clima che non deve essere stato animoso come quello della nostra politica, ma che comunque ha dato vita a prese di posizione anche abbastanza decise (sembra un paio di vescovi alla fine non abbiano salutato il Pontefice), i vertici ecclesiastici mondiali hanno discusso, tra l’altro, di omosessualità e sacramenti per i separati. La partita è rimandata all’anno prossimo, quando nel Sinodo Ordinario dovranno votare quello che sarà un documento – questa volta – decisivo. Quella di oggi, soltanto una discussione e una votazione che fornisce indicazioni – ma non dati certi – sulle quali ragionare a mente fredda e senza i riflettori puntati per i prossimi 12 mesi. Per ora i vescovi, d’accordo su molti punti, hanno mancato il quorum dei 2/3 necessario per l’approvazione dei passaggi più delicati tra cui, appunto, la questione omosessuale. Di tutta la querelle di questi giorni, a prescindere da come andrà a finire, resteranno comunque le belle parole pronunciate dal Papa alla fine dell’incontro, che risuonano come un monito verso quanti tendono a gestire la religione (anche in ambito politico) come fosse una questione personale, dimenticando che la stessa è per sua natura inclusiva e non esclusiva. Del resto, per citare proprio Francesco, “Dio non ha paura delle novità”.
Luca Arleo
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