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Nov 05, 2019 Cultura, Teatro & Cinema
Fabrizio Catalano
Matera capitale europea della cultura 2019 ospiterà una prima assoluta di grande prestigio, fortemente voluta dalla regione Basilicata, il 7 novembre presso il teatro naturale Casa Cava di Matera. Sarà, infatti, messa in scena “Morte dell’inquisitore“, liberamente tratta da un’opera di Leonardo Sciascia, con l’adattamento di Morgana Forcella, in conclusione di un percorso laboratoriale di 3 giorni, la cui direzione tecnica e artistica è affidata a Sebastiano Somma e che godrà della partecipazione straordinaria di Michele Placido.
La mise en espace teatrale è presentata dall’Associazione Laros e diretta dal nipote dello scrittore siciliano tra i più autorevoli nel panorama letterario del ‘900, noto per essere stato un intellettuale indipendente. Fabrizio Catalano, regista e interprete, ha già diretto molti spettacoli tratti dalle opere del nonno, ed ora, nella splendida cornice di Matera, molto simile alla Racalmuto di Sciascia, si appresta a portare in scena un saggio d’inchiesta molto interessante pubblicato nel 1964. La storia è vera e riguarda un capitolo discusso della storia dell’umanità, che è l’Inquisizione. Protagonista è l’agostiniano fra Diego La Matina, più che un eretico un vero e proprio eroe della libertà, passato alla storia come l’unico reo che, durante la prigionia, riuscì ad uccidere l’inquisitore don Giovanni Lopez de Cisneros. Per questo ulteriore crimine, la condanna a morte fu inevitabile.
Fabrizio, quanto è stato difficile adattare un saggio storico, per giunta molto critico, al teatro?
Piuttosto difficile. L’adattamento è un work in progress che parte da un progetto molto ambizioso, che avrebbe voluto che lo spettacolo fosse messo in scena per le strade di Matera, con il rogo in piazza. Purtroppo così non sarà, ma la location è altamente suggestiva, perché si tratta di un teatro ricavato all’interno della roccia. L’adattamento, opera di Morgana Forcella, è stato studiato per salvare anche i legami con la realtà, nel senso che l’Inquisizione si è basata sul fanatismo religioso come strumento di potere e in fondo è molto simile ad altri fanatismi – non necessariamente religiosi – presenti in molte parti del mondo e che reggono la società in cui viviamo.
Secondo Sciascia, la condanna a morte di fra Diego è stata “una delle più atroci e allucinanti scene che l’intolleranza umana abbia mai presentato”. Qual è il prezzo da pagare, ancora oggi, per mantenere alta la dignità dell’uomo allo stesso modo di fra Diego?
Il prezzo è alto. Mi è stato insegnato che il dovere dell’intellettuale – termine che mio nonno non apprezzava particolarmente -è quello di opporsi al potere. Da pochi giorni alcuni documenti secretati dal Vaticano sono stati resi accessibili. Sarebbe interessante trovare gli atti del processo di fra Diego, perché dai pochi documenti a disposizione possiamo solo dire che è molto probabile che l’eresia di fra Diego fosse di natura comunista. Mi spiego: fra Diego si trovava in catene per aver difeso i diritti dei contadini e dei diseredati contro i soprusi dei nobili e del clero. Fra Diego ha difeso la dignità umana e il suo sacrificio non è stato vano se noi a distanza di secoli ne parliamo ancora. Oggi, però, non vedo molte persone in grado di difendere la dignità di tanti disperati e mi riferisco ad esempio agli africani che noi direttamente o indirettamente sfruttiamo, così come non vedo intellettuali disposti a difendere la dignità degli stessi europei, ai quali si fa credere che la personalità non si affermi grazie alle idee, ma grazie al consumo di beni.
Se ci guardiamo intorno, pur non essendoci più il tribunale dell’Inquisizione, vediamo ancora tanto odio, intolleranza, prevaricazione e a fronte a questo, anche tanta indifferenza. Mi viene allora da chiederle citando le ultime parole di fra Diego: Dio è davvero ingiusto?
Questo è un argomento molto più grande di noi; certo, se penso a un Dio che ha un popolo eletto e che sceglie di manifestarsi ad altri popoli con secoli di ritardo e attraverso conversioni forzate e massacri dovrei dire di sì, ma credo che sia davvero complicato giudicare il tema dell’ingiustizia di Dio.
Io credo che la frase finale pronunciata da fra Diego vada intesa più come provocazione. Fra Diego, mentre viene portato verso il rogo, chiede di essere confessato dal teatino Giuseppe Cicala, al quale dichiara che si sarebbe sottomesso alla chiesa in cambio della sola pena corporale. Al diniego di quest’ultimo, fra Diego lo sfida con un’eresia: “Dunque Dio è ingiusto”, dimostrando coraggio, forza, coerenza e una grande dignità oltre a intelligenza e preparazione. Questo fatto avviene dopo che fra Diego, provato da anni di torture atroci –addirittura incatenato a una sedia dopo aver ucciso Cisneros – con le sue argomentazioni tenne testa a nove fra i più grandi teologi del tempo.
Fra quelli che lo scrittore Pitrè definisce i “palinsesti del carcere”, cioè frasi e disegni che gli inquisiti lasciarono sulle pareti delle prigioni, ce n’è uno che appare come una ricetta utile per gestire l’orrore dell’Inquisizione: pazienza, pane e tempo. Sono ingredienti sufficienti per praticare una sorta di resistenza culturale?
Sicuramente sono necessari, ma se proprio vogliamo dirla tutta, forse tempo non ce n’è rimasto tantissimo. Non c’è da essere ottimisti, soprattutto se pensiamo al nostro paese. L’Italia è il Paese decaduto per eccellenza, in cui la differenza tra glorioso passato e odioso presente è abissale. Noi siamo il paese di Dante, Galileo, Leonardo da Vinci, Caravaggio, Michelangelo, Verdi, ma cosa abbiamo prodotto negli ultimi decenni? Cosa resterà della cultura italiana? La società italiana è stata orbata dei suoi anticorpi. Oggi non ci sono più gli Sciascia, i Pasolini, i Moravia, i Calvino, che erano gli anticorpi del loro tempo, perché è il sistema stesso che li blocca. Per sintetizzare: i Berlusconi, i Bersani, i Renzi e in generale la vecchia guardia, sono la causa per la quale gli Sciascia e i Pasolini non esistono più; i Di Maio e i Salvini sono la conseguenza.
Ha già in mente di portare in giro “Morte dell’Inquisitore”?
Sarebbe bello. Quando i produttori sentono la parola morte si irrigidiscono, ma sarebbe bello.
Bello e giusto!
Angelina Marcelli
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