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Ott 13, 2015 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
La politica è un po’ come la guerra, le strategie variano in base all’arsenale a disposizione e l’affondo arriva quando l’avversario tentenna oppure barcolla. Non ci sono regole di cavalleria e l’onore delle armi è un dettaglio trascurabile.
Meraviglioso esempio di quanto detto è la querelle relativa alla città di Roma e, di conseguenza, ad Ignazio Marino.
Che il sindaco della più importante città d’Italia abbia una forte opposizione che cerchi in ogni modo di metterlo con le spalle al muro è più che plausibile, ma che lo schieramento in questione vanti tra i propri ranghi lo stesso partito del primo cittadino con il Presidente del Consiglio sugli scudi, qualche perplessità la solleva.
Un’opposizione in piena regola, ancora più feroce perché interna.
I colpi sono stati tanti e quasi esclusivamente portati dal PD ai danni di Marino che, da parte sua, si è limitato a giocare di sponda evidentemente conscio della posizione di svantaggio dovuta alla mancata copertura della casa madre, troppo impegnata ad affossarlo senza darlo a vedere porgendo la mano dopo ogni colpo.
Il Partito Democratico ha fin da subito voluto presentare il chirurgo quale un elemento esterno al proprio apparato, un alieno all’interno delle proprie fila, arrivato lì per una serie di circostanze sfortunate da correggere al più presto. Il fatto che fosse stato anche candidato alle primarie PD e di aver vinto le elezioni a primo cittadino con il 63 % dei voti, un particolare trascurabile.
Ma quali sono stati gli effettivi motivi che hanno portato a questa rottura?
Dare retta alle illazioni che vorrebbero il primo cittadino solo contro tutti in un mondo di corrotti rimane una tesi ardua da sostenere senza una pistola fumante. Ha detto avrebbe fatto nomi e cognomi una volta formalizzate le dimissioni e quindi aspettiamo le rivelazioni, sperando facciano chiarezza oltre che pulizia qualora ce ne fosse bisogno. È più facile pensare l’attrito sia dovuto a visioni opposte circa la gestione della capitale, da parte di un sindaco poco incline alle logiche di Partito.
Senza voler sminuire le responsabilità relative alle fatture contestate, sembra comunque troppo piccola la materia in questione per lasciare la capitale d’Italia in balia degli eventi, senza neppure aspettare una versione ufficiale a riguardo. Il tutto tralasciando alcune misure prese da questo sindaco, che un certo credito politico avrebbero potuto maturarlo, se soltanto ci fosse stata la volontà di farlo. Tutta la questione relativa a Casamonica e viaggi, al contrario rilanciata in ogni modo, è la conferma di come sia stato scelto di procedere in un verso piuttosto che in un altro. Gabrielli, forse la figura più responsabile dopo il funerale show, non risulta abbia subito contraccolpi anzi, al contrario, dal caos ha guadagnato credito ed incarichi.
La colpa in definitiva rimane comunque a carico del primo cittadino, che proprio volendosi presentare come qualcosa di diverso, avrebbe dovuto lui per primo fare più attenzione ad ogni singola mossa proprio per il fatto di non godere della protezione del suo stesso partito. Dai viaggi a sorpresa alle spiegazioni fumose, tutto ha concorso a rendere più facile il lavoro dei suoi detrattori che oggi festeggiano senza sapere bene perché.
Unici a perdere sotto ogni punto di vista sono quanti avevano votato un sindaco che pensavano potesse aiutare Roma a rinascere, anche da un punto di vista morale. Il dato non deve essere sottovalutato. Il PD, e non il solo Marino, hanno perso una bella occasione; ora la sensazione è che alle prossime elezioni il candidato della sinistra pagherà anche questo atteggiamento poco chiaro tenuto nei confronti non del sindaco di Roma in quanto tale, ma di Roma e dei romani.
Luca Arleo
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