Ultimo Aggiornamento giovedì 14 Gennaio 2021, 4:55
Apr 02, 2017 Attualità, Italia
Un giro nel centro sud italiano, per motivi di formazione professionale, ci ha portato al cospetto di alcune donne e uomini che hanno vissuto e subìto la tragedia del terremoto.
I politici parlano spesso del terremoto come di una priorità poi, nei fatti, gli anni passano e poche cose vengono rimesse in piedi e rimane il sapore acre della tragedia che distrugge vite e sentimenti.
Abbiamo scelto tre testimonianze, tre persone, due donne e un uomo, che ci hanno colpiti in maniera particolare. Nei loro visi, ancor più nei loro occhi, si legge il senso incancellabile della tragedia senza rimedio, la tragedia che cancella tutto, che toglie e non restituisce, che soffoca e ci fa morire.
In particolare, negli occhi di Tina, un’insegnante cinquantenne, il senso dello sgomento è palese, quando afferma: “Sento e vedo ancora il rumore assordante e le scosse intorno a me. Mi sono rimaste sulla pelle. Non si può far niente in quei momenti che sembrano eterni. Non ti puoi difendere, non sai a chi chiedere una mano, senti che tutto si sta distruggendo intorno a te. E preghi. Vorresti urlare, ma la voce si ferma in gola. Qualcosa ti soffoca e senti la fine della vita”.
Costantino, ristoratore sessantenne, ha vissuto il terremoto con la moglie, nel cuore della notte ed entrambi si sono salvati: “E’ stato un miracolo. Dormivamo in camera al piano di sopra. Mi sono svegliato ed ero precipitato di sotto. Ho chiamato mia moglie e mi ha risposto, era rimasta di sopra in bilico. Abbiamo aspettato un poco di chiaro, poi in qualche modo sono riuscito ad aiutarla a scendere e siamo usciti. Pieni di lividi, tutti ammaccati, ma salvi”.
Clelia, impiegata di trentasei anni, racconta: “Eravamo usciti a fare una passeggiata, poi abbiamo preso un caffè con la panna. Mentre uscivamo dal locale la terra ha iniziato a tremare, sembrava non volesse finire mai. Abbiamo incominciato a correre verso una zona dove non c’era nulla e questo aspetto ci ha salvato. Una zona senza edifici e strutture ci ha permesso di rimanere lì fermi come due automi, senza vita”.
Queste persone che hanno sofferto, in maniera totale un dramma sempre difficile da descrivere, hanno spesso perso tutto, molto.
Non è possibile dimenticarsi di loro.
Mauro Pecchenino
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