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La moda si caratterizza principalmente sul piano comunicativo per la sua necessità di parlare in continuazione. Perché continua è l’offerta di prodotti al consumatore (ormai la tradizionale scansione semestrale delle collezioni è ridotta a una pura finzione di marketing). Forse è per questa ragione che la moda è raramente capace di produrre dei messaggi in grado di restare veramente impressi. È perlopiù un “chiacchiericcio” insistente che scivola via lasciando dietro di sé pochissime tracce del suo percorso.
Si scosta parzialmente da tale tendenza più generale il comparto dell’abbigliamento casual che, per fare pubblicità, segue più attentamente le norme comunicazionali definite per i prodotti di massa. Ciò è accaduto, invece, raramente per gli stilisti, se non nel caso in cui questi, anziché cambiare in continuazione il fotografo come fanno abitualmente, ne hanno “sposato” uno accettandone il suo stile visivo e dando vita in tal modo a un posizionamento di mercato chiaro e distintivo. È successo in passato per Gianni Versace, con Richard Avedon e Bruce Weber, e per Giorgio Armani, sino a che ha fatto regolarmente ricorso alla creatività di Aldo Fallai.
Ma si tratta appunto di eccezioni. La regola è quella che solitamente evidenziano i numerosissimi annunci pubblicitari che escono sui giornali in occasione delle presentazioni delle collezioni stagionali: messaggi estremamente poveri che si limitano a mostrare modelle o modelli in posa insieme alla “firma” di un marchio impiegando una modalità comunicativa autoreferenziale che sembra dimenticarsi della necessità di coinvolgere, interessare, emozionare il pubblico, che oltre ad essere il destinatario di un messaggio, rappresenta anche il potenziale acquirente del prodotto. Le aziende di abbigliamento, cioè, di solito non sfruttano appieno il mezzo pubblicitario, sottoutilizzando le potenzialità della costruzione testuale e facendo ricorso al solo linguaggio iconico (peraltro impiegato in modo assai codificato e prevedibile). Ciò può sembrare paradossale se si pensa all’elevatissima importanza attribuita solitamente dalla moda agli aspetti comunicativi nell’ambito delle sfilate o dei punti vendita. Eppure, la realtà pubblicitaria della moda si presenta spesso sotto questa veste.
Negli ultimi anni, però, sembrano esserci i segnali di un progressivo mutamento di rotta. Il sistema della moda pare, infatti, aver intrapreso una nuova fase della sua storia: il prêt-à-porter, ovvero l’abbigliamento curato ma accessibile a molti che porta il segno dell’inconfondibile creatività di un particolare stilista, sembra lasciare sempre più il posto all’affermazione dell’identità di una marca, che è un soggetto astratto e libero da legami con individui specifici. Anche nella moda, cioè, si comincia a comprendere l’importanza di investimenti e strategie che hanno come principale obiettivo la valorizzazione dell’immagine di marca.
Vanni Codeluppi
Docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia
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