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Dic 14, 2010 Attualità, Italia
Mario Monicelli è morto all’età di 95 anni.
Il Maestro, il padre della commedia italiana, anche se tutti i critici la definivano all’italiana, il grande regista e sceneggiatore preferiva definirla semplicemente, appunto, commedia italiana.
Dopo un già brillante inizio, nel 1951 c’è una prima svolta. Guardie e Ladri, interpretato da Totò e Aldo Fabrizi, viene premiato al Festival di Cannes per la miglior sceneggiatura.
Il principe De Curtis e l’attore romano dipingono un quadro fatto di un carabiniere ligio al dovere e alla legalità e di un ladro che ruba per sconfiggere la miseria che ogni giorno accompagna le sue giornate.
Un altro premio, questa volta come miglior regista, gli viene assegnato per il film Padri e Figli a Berlino nel 1957.
Dovendo fare anche i conti con la censura dell’epoca, il suo film spartiacque è del 1958 ed è rappresentato da: “I soliti ignoti”.
Il film racconta le gesta di un gruppo di squattrinati, disperati alle prese con la miseria e con la voglia matta di toccare una ricchezza così desiderata ma anche così irraggiungibile.
Nei panni dei ladri impacciati e un po’ disincantati, vi sono, tra gli altri: Mastroianni, Gassman, Renato Salvatori e due figure indimenticabili rappresentate da caratteristi molto importanti del cinema di quegli anni: il napoletano Carlo Pisacane detto “Capanelle” e il sardo Tiberio Murgia, nato ad Oristano, in realtà spesso nei film interpreta il ruolo del siciliano tradizionale e rigoroso. Nei soliti ignoti è uno della banda, molto geloso e custode integerrimo della vita della sorella, che rinchiude in casa e che è interpretata da una bellissima Claudia Cardinale .
Nel 1959 un altro capolavoro: “La grande guerra”, con Sordi e Gassman ad interpretare due soldati italiani durante il primo conflitto mondiale, un po’ furbi, un po’ fifoni che si ritrovano, loro malgrado, a vestire i panni degli eroi.
Nel 1966 con l’Armata Brancaleone e nel 1973 con Vogliamo i colonnelli viene selezionato per il Festival di Cannes.
Nel 1975 gira Amici miei, cui dedica un II atto nel 1982.
Che personaggi meravigliosi: il cinico giornalista Perozzi ( interpretato da Noiret ), il più decaduto nella storia nobiliare italiana, il conte Mascetti ( interpretato da Tognazzi ) il più geniale nell’organizzare scherzi, il barista Necchi ( interpretato nel 1975 da Duilio del Prete e nel 1982 da Renzo Montagnani ), il romantico e sempre innamorato geometra Rambaldo Melandri e l’amico che arriva dopo ma non senza peso: il chirurgo “senza cuore” Professor Sassaroli ( interpretato da Adolfo Celi ).
Scherzi, bischerate, amicizia cameratesca ma anche tanta malinconia disegnano e accompagnano le gesta degli amici in una Firenze sempre meravigliosa.
Nel 1977 Monicelli gira: “Un borghese piccolo piccolo” tratto da un’opera dello scrittore Cerami. Il protagonista Alberto Sordi interpreta un impiegato di un ufficio pubblico romano alle soglie della pensione e, pronto, ad ogni costo, ad inserire il suo unico figlio negli stessi uffici. Ma un tragico evento, una pallottola vagante durante una rapina, uccide il figlio.
Questo porterà il padre ad una vendetta cupa, cieca ed inaudita nei confronti del colpevole, cui riesce ad evitare la cattura da parte della polizia per poter poi procedere con una giustizia personale e carica di odio. Nel frattempo la moglie ammalatasi per la disgrazia morirà, lasciando l’uomo nella sua più totale disperazione.
Chiudiamo con “Speriamo che sia femmina” , dove Monicelli racconta in maniera poetica il suo amore per l’universo femminile, rappresentando un vero e proprio gineceo, affiancato da comparse maschili un po’ goffe, cui spetta il poco gratificante ruolo di comprimari subalterni alle protagoniste indiscusse: le donne, appunto.
Mario Monicelli ha diretto numerosi altri film, e, ognuno di loro, ha lasciato un segno.
Ha saputo disegnare e raccontare un’Italia reale e, nei suoi affreschi, delineare scenari del nostro Paese, ancora attualissimi.
E non solo.
Negli ultimi anni sono stati diversi i suoi interventi pubblici per criticare in maniera molto dura e con toni sferzanti la situazione in cui versa il nostro Paese ed innumerevoli le invettive contro la politica e il Governo.
Una politica accusata da Monicelli di essere distante, in maniera siderale, dalla gente comune e dai suoi problemi quotidiani. I politici chiusi nei loro Palazzi a complottare e a decidere molto più per la loro cricca che per le reali esigenze del popolo.
In una delle sue ultime interviste traspariva, oltre ad un inalterato spirito da combattente nato e pervaso da una coscienza civile negli ultimi tempi sempre più indignata, la sua grande amarezza per aver raccontato l’Italia, senza riuscire a cambiarla, a migliorarla.
Monicelli ci consegna un testamento spirituale e morale che non dobbiamo dimenticare.
Fino all’ultimo si è indignato e non si è mai rassegnato a ciò che gli accadeva intorno.
L’atavica rassegnazione che ci contraddistingue deve essere sostituita da una vera e propria rinascita civile di un paese e di un popolo che pur sempre con i suoi difetti congeniti, rimane sempre la nostra amata Italia.
Eppur si muove ( qualcosa ), speriamo.
Addio Maestro.
Norman di Lieto
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