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Apr 07, 2019 Arte & Musica, Cultura
Matteo D’Agostino
Roma
In occasione dell’uscita del suo nuovo disco, ¡Aquí Me Encuentro! abbiamo conosciuto Matteo D’Agostino, chitarrista flamenco romano, di origine abruzzese.
Ascoltate Visión e sarete trasportati magicamente sulle ampie pianure dell’Andalusia, oppure De Muy Lejos e vi sembrerà di attraversare le morbide acque del Guadalquivir: la cultura e la storia andalusa vibrano attraverso le note ed i ritmi della chitarra di D’Agostino che, dal 2000 si dedica al flamenco. Quando gli abbiamo chiesto da dove venisse l’amore per questo antico strumento popolare, ci ha risposto di averlo “Incontrato per caso, in un periodo di bisogno di cambiamento in fatto di musica”. Infatti, se si ripercorre la carriera di D’Agostino, prima del flamenco c’erano il jazz ed il blues, “Ma con il flamenco è come se mettessi il punto su tutto un periodo, dal jazz alla musica popolare italiana”.
È l’incontro con Manuel Santiago, chitarrista di Malaga, in un locale in via della Magliana, che segna il percorso musicale di D’Agostino. Dopo averlo ascoltato suonare, senza pensarci due volte, lo segue nella città andalusa e ne diventa l’allievo, impregnandosi della tradizione gitana e sempre alla ricerca di nuove sonorità, rielaborando il bagaglio musicale che si porta dietro. E questa sua poliedricità musicale dà vita ad un nuovo genere, che fonde la cultura popolare con una personale versione intellettuale del flamenco, che è arte e poesia. È attraverso il flamenco che D’Agostino comunica la bellezza, che è poi lo scopo dell’arte stessa, «la chitarra è la possibilità di uscire dall’ombra e il flamenco mi dà ogni volta l’alternativa al brutto, dopotutto una delle responsabilità di un artista nella vita è comunicare bellezza». Il tocco della chitarra flamenca di D’Agostino, quindi, trascende la sua primitiva funzione di accompagnamento della celerità tipica della danza e diviene protagonista assoluta, esprimendo una serie di sentimenti e stati d’animo altalenanti – peccato, gioia, tragedia, paura – che sembrano evocare i versi di Federico García Lorca: «empieza el llanto de la guitarra. Se rompen las copas de la madrugada. Empieza el llanto de la guitarra. Es inútil callarla. Es imposible callarla […], llora por cosas lejanas»*. Le otto composizioni originali che danno vita al CD – progetto ideato con Luca Caponi, batterista e percussionista – possono considerarsi come le otto tappe di un viaggio nell’entroterra dell’Andalusia, in cui l’ascoltatore è trasportato, tra le trame delle culture moresca e spagnola, tra melodie e percussioni, dove le singole note della chitarra flamenca si integrano nel paesaggio, esprimono un nuovo canone di bellezza e acquisiscono una raison d’être, «en la noche del huerto, seis gitanas vestidas de blanco bailan. […]. Y en la noche del huerto, sus sombras se alargan, y llegan hasta el cielo moradas»**.
Giovanna Scatena
* Incomincia il pianto della chitarra. Si rompono le coppe dell’alba. Incomincia il pianto della chitarra. È inutile farla tacere. È impossibile farla tacere, […], piange per cose lontane. (Traduzione de La guitarra, da Poema del Cante jondo, F.G. Lorca)
** Nella notte dell’orto sei gitane vestite di bianco danzano. […].Nella notte dell’orto, le loro ombre si allungano, e toccano il cielo viola. (Traduzione de Danza. En el huerto de la Petenera, da Poema del Cante jondo, F.G. Lorca)
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