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Ott 14, 2014 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
1976. Un ricercatore crede di avere tra le mani una variante del virus causa della febbre gialla. Si trova nello Zaire (oggi Repubblica del Congo) e in una missione di suore preleva del sangue infetto da una di esse. Lo trasporta in aereo senza le minime misure di sicurezza e durante il viaggio una delle fialette in cui è conservato il sangue, si rompe mischiandosi al ghiaccio presente nel termos da caffè adibito a trasporto, rischiando un contagio letale. Arrivato nel suo laboratorio in Belgio, scopre che la questione che ha per le mani è molto più grande di quanto non pensasse e, dopo un secondo incidente, questa volta in laboratorio, decide di girare tutto il materiale al centro specialistico di Atlanta che conferma i suoi sospetti: non si tratta di febbre gialla ma di un virus sconosciuto. (Peter Piot, questo il nome dello scienziato, ha scritto un libro relativo ai fatti in questione: No Time To Lose).
Non è la trama di un film, ma è più o meno la genesi della scoperta del microorganismo più famoso del 2014: ebola (il nome lo si deve alla valle dove per la prima volta si registrò una sua epidemia). Purtroppo ad oggi quel virus non ha ancora trovato un antidoto o un vaccino adatti a combatterlo e continua, indisturbato o quasi, a mietere vittime. Un laboratorio americano è riuscito a produrre un siero che sembra riesca a combattere e, in alcuni casi, vincere il nemico, ma al momento è presto per cantare vittoria. L’OMS sembra intontita davanti agli eventi e non è colpa sua. Un ente che si regge sulle rimesse che gli Stati aderenti gli garantiscono, non può vivere senza quei fondi. I privati, che pure ci sono, pretendono che i loro soldi finanzino ricerche specifiche che non sempre risultano utili a problematiche più ampie.
La crisi internazionale ha infatti causato non pochi problemi all’organizzazione, generando così un ridimensionamento che va a ripercuotersi sulle effettive capacità di azione della stessa, limitandone la portata sul campo.
Parte della colpa va ovviamente anche agli Stati africani direttamente interessati. Negli anni l’OMS ha provato più volte a sensibilizzare i governi verso un problema che sapevano si sarebbe presentato nuovamente ma, complice ancora una volta la solita questione economica, nessuno, o quasi, negli ospedali era pronto a fronteggiare un’evenienza del genere. Poco e male attrezzati, i medici non hanno potuto far nulla se non ammalarsi a loro volta non avendo nemmeno gli strumenti minimi (guanti e mascherine) per operare in sicurezza. Finora il virus in Africa occidentale sembra fuori controllo. Le ripercussioni sono internazionali. Essendo oggi molto più facile viaggiare attraverso i continenti, ogni Nazione del mondo è alle prese con casi, o sospetti tali, di ebola. Probabilmente questa crisi, che ha abbandonato del tutto i confini continentali ed è divenuta mondiale (nonostante i casi in questione siano pochissimi e gli epidemiologi siano concordi nel dire che non ci sono rischi di pandemie) produrrà come effetto quel vaccino che negli anni in pochi hanno cercato veramente di trovare.
Ma quanto è davvero pericoloso questo virus? Dando uno sguardo alle casistiche, si scopre che ebola non ha un ruolo granché di rilievo nelle piaghe che affliggono il pianeta. Ovviamente non si può sminuire un pericolo che ha già causato migliaia di vittime, ma questo è il suo momento. Per fare un conto approssimativo, si potrebbe chiudere il netto a “favore” di malaria, dengue e influenza, che da sole uccidono centinaia di migliaia di persone ogni anno, per non parlare poi dell’ HIV e tubercolosi che in coppia contano quasi 3 milioni di vittime l’anno.
I dati sono asettici e non tengono conto del fatto che ogni vita è importante a prescindere dal contesto in cui viene a mancare, ma fa pensare che le cinquemila vittime che ebola ha fatto dalla sua comparsa ad oggi (40 anni di carriera), possano davvero rappresentare la peste del XXI secolo o, come ha detto qualcuno, la peggior epidemia dai tempi dell’AIDS. Come se quest’ultimo avesse tirato i remi in barca.
Luca Arleo
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