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Mar 29, 2018 Cultura, Teatro & Cinema
Sveglia presto, alla solita ora, colazione in compagnia delle sue ingombranti vacche che gironzolano indisturbate per casa e poi pronto in pochi minuti per la sua giornata in stalla: un sogno, certo, ma nella realtà questa è la stancante tanto quanto appagante routine di Pierre, il piccolo allevatore raccontato dalla pellicola del giovane regista Hubert Charuel.
Petit Paysan, dopo essere stato presentato a Cannes, è stato pluripremiato al Festival du film francophone d’Angoulême, al Festival France Odeon di Firenze con il premio Foglia d’oro e insignito di tre César – gli Oscar francesi, per intenderci – come miglior opera prima, miglior attore protagonista interpretato da Swann Arlaud e migliore attrice non protagonista per Sara Giraudeau.
Il lungometraggio, distribuito da NO.MAD Entertainment è arrivato anche nelle sale italiane e racconta la singolare storia di una professione difficile e sporca di un giovane allevatore, legato in modo viscerale alla sua terra e ai suoi animali, che ha deciso con amore e passione di dar seguito all’attività familiare, non senza sacrifici.
La cura, la fisicità, il silenzioso ed eloquente linguaggio fatto di suoni, sguardi, odori e respiri tra l’uomo e le sue vacche scandiscono il plot del film dal ritmo inconfondibilmente francese. Ma ad infittire la trama, così puramente naturalistica, è la preoccupante diffusione del morbo della mucca pazza, che condisce la storia di elementi thriller: l’uccisione della prima vacca, poi della seconda, l’occultamento delle prove, la falsa pista per non destare sospetto. Inquadrature, luci e musiche cadenzano l’evoluzione del personaggio principale, in tutta la sua psicologia.
All’anteprima stampa, moderata da Francesco Ranieri Martinotti, Charuel confessa:
“In questo mio primo film ho voluto sviluppare il senso di colpa, che racconta anche un po’ di me, figlio unico, che ho scelto di studiare cinema anziché portare avanti la fattoria dei miei”.
Girato proprio nella fattoria di famiglia, Petit Paysan – di cui non vi faremo spoiler sull’epilogo, chiaramente – offre una fotografia veritiera, sincera e a tratti tragica di piccoli imprenditori legati alla propria terra e ai propri animali, ridotti sul lastrico ai tempi della diffusione del morbo della mucca pazza.
L’opera di Charuel, come sostiene lo stesso Martinotti, è testimonianza di una nuova modalità di racconto della nuova generazione di cineasti, risultato di un intreccio bilanciato e ben pensato, frutto di anni di lavoro, che rivela l’autenticità, la crudezza e la verità dell’universo rurale, profonda radice che appartiene ad ognuno di noi, mixato alla spettacolarizzazione dal sapore inaspettatamente thriller.
Eleonora Dafne Arnese
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